martedì 22 ottobre 2013


Diario di una visita di “cortesia”



A due passi dal Museo del Giocattolo, sconosciuto alla maggior parte dei milanesi, c'è la “Residenza per anziani Santa Giulia” di via Pitteri. Questa la conoscono in tanti, ed è sempre aperta al pubblico.
Di fronte al suo ingresso un vivace via vai di gente entra in Esselunga per fare la spesa nelle ore pomeridiane di un normale e tiepido venerdì autunnale. Varcata la porta, al banco informazione c'è una ragazza indaffarata al telefono, in una serrata conversazione, che vorrebbe chiudere al più presto. “Come il suo turno di lavoro” -mi viene da pensare- per uscire fuori e riprendere la sua giornata.

Io e mia moglie conosciamo il percorso. L'ascensore plana leggero e silenzioso al secondo piano. Nell'atrio, gli sguardi acquosi dei degenti incrociano le nostre occhiate furtive mentre ci dirigiamo verso la stanza di Adele.
Lei è una anziana cugina di mia moglie. E' grave, sta lentamente morendo e siamo venuti per salutarla. Non è una visita di “cortesia”.
E' adagiata di sbieco sul cuscino, con la testa riversa d'un lato, la bocca spalancata a prendere aria, intanto che il petto si solleva come un mantice rumoroso. E mi sembra che possa cedere da un momento all'altro, tanta è la fatica.

Negli ultimi quindici giorni è ancora più dimagrita. Consumata da una forma perniciosa di leucemia e di demenza senile, ha quasi smesso del tutto di nutririsi. Così si sta ritirando dal mondo. Da stamattina è piombata in un coma torpido e forse non si risveglierà più. 
Saluto suo marito Vanni e mi avvicino alle sbarre del letto. Seguo il ritmo del suo respiro ed ora che si fa più lieve e meno affannoso mi viene spontaneo accarezzare la sua mano destra che è libera dagli impicci della flebo. E' calda e liscia anche se mostra la macchia bluastra di un piccolo ematoma. 
Per qualche attimo sento il mio polso battere col suo. Così lieve, così tenue e sottile come il filo della sua vita che ci lega in questo strano incontro dove le parole sono inutili e banali.
Il viso è deformato, ha perso peso e tono, e si è allungato. La fronte è ampia ed i capelli candidi sono lunghi e mossi come ha sempre avuto da signora. Una mano benevola li ha pettinati all'indietro, trattandoli con cura. E, si vede, il viso di Adele conserva le tracce di quella donna attraente, distinta e gentile che è stata.
Le palpebre sono chiuse. “Peccato -dico a me stesso- non poter rivedere i suoi occhi limpidi venati di tratti azzurri!” Ogni tanto gira leggermente il collo ed avvicina le labbra come se volesse dire qualcosa, mentre la mano di mia moglie inumidisce la sua bocca con movimenti lenti.
Ti viene di parlarle dolcemente a questa vecchietta di 82 anni. Viene voglia di cullarla, tanto è rattrappita e ridotta come una bambina mentre sta nel grande letto d'ospedale.

Ma cosa puoi dire ad un'anima che quasi non ha più un corpo dove abitare?
Vanni, anche lui acciaccato dall'età e dalla malattia, si alza dalla poltroncina per avvicinarsi al letto. Le sue parole sono quelle di un marito sfinito e sconfortato. Il declino è stato rapido, meno di anno prima Adele era al suo braccio, coi suoi occhi sorridenti.
Abbattuto, ci dice:
Dopo la trasfusione di ieri, si è come assopita. Mi hanno detto che è in coma, e non so, se ritornerà presente. Ecco vedi -e intanto tremante prende la sua coscia dentro la mano- non ha più muscoli. Non c'è più niente.”
Forse Adele ci riconosce, ma non percorrendo le intricate vie delle parole, chè queste sono ormai consumate e logore come un vestito dismesso e dimenticato appeso chissà dove. Ci riconosce, punto. Lo so che è un atto di fede, per questo ci credo! Sono sicuro, Adele ci riconosce. E' toccata dal timbro della nostra voce, dal contatto asciutto e dal tepore delle nostre dita che incrociano le sue. Come a trasmettere un messaggio in codice.

Il vecchio marito, che è un tipo burbero dal cuore generoso, la richiama con una voce rotta dallo smarrimento.
Adele... Adele, mi senti? Sono io, sono Vanni...”
E lo ripete più volte, con foga.
Adesso sta chino col viso accostato al suo, accarezzandola.
Guardami. Quante cose belle, quanti viaggi abbiamo fatto insieme... E lo sai che ti voglio bene!”.
Poi c'è pianto e consolazione, anche se momentanea, nel nostro abbraccio.

Sostiamo in un silenzio calmo. Il vuoto che potrebbe pervadermi come un'onda travolgente, non mi allarma. 
I pensieri si arrestano. Sono fermi, rispettosi, nell'autorimessa della mente in attesa che qualcosa avvenga. Che venga svelato il mistero della vita. Come un soffio, possa finalmente andarsene via.
Uscire dalla Residenza per Anziani di via Pitteri in completa libertà a visitare il Museo dei Giocattoli, aperto apposta per lei.

Buon viaggio Adele!




1 commento:

  1. Una esperienza forte, che può avvicinarci alla morte, degli altri e anche nostra, nel tempo; tutti ci arriveremo. Accogliere, accettare che verrà per ciascuno di noi il momento naturale di 'lasciare' tanto e di illuminarci...di che cosa? di chi? una speranza.

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