MOHSEN
LIHIDHEB, IL POSTINO DEL MEDITERRANEO
Il
postino di Zarsis, un paese nel sud della Tunisia, dopo 20 anni e più
di lavoro va alla scoperta della memoria del mare e diventa “postino
del Mediterraneo”.
Ogni
giorno, da più di 11 anni Mohsen si alza all'alba, sale sulla sua
vecchia auto e percorre i 40 km necessari per raggiungere il mare.
Parcheggia e cammina per 6 km: tre in una direzione e poi altri 3
nell'altra.
Al
suo rientro ha raccolto nel doppio sacco che si porta sulle spalle
tutto ciò che il mare abbandona sulle rive. Montagne di bottiglie
di plastica, pinne, palloni consumati dalla salsedine, ma anche
tavole da surf, cordame, lampade di tutti i tipi, caschi, spugne,
assi di legno di insegne o sfasciami di vecchie imbarcazioni. Mohsen
ne fatto un museo, che ha chiamato: “Museo della memoria del
mare”. Questo museo in principio ha occupato il cortile della
sua abitazione e le vicinanze, poi si è via via esteso lungo 150 km
di spiagge a richiamare il paradosso dell’uomo di oggi. Un'opera
d'arte costruita coi rifiuti.
Mohsen
è nato, è cresciuto ed ha lavorato come postino a Zarsis. La sua
vita l'ha trascorsa sempre in quel villaggio, tra il mare e la natura
del deserto fino a 40 anni.
Da
quel momento ha deciso di cambiare vita, con un proposito: tornare al
mare, smettere di fumare, bere o fare le solite cose. Così torna
veramente al mare, ma senza idee o piani per la testa . Poco alla
volta, mentre cammina vagabondando sulle spiagge inizia a raccogliere
tutto ciò che arriva dal mare portato dalle maree notturne.
E
mentre raccogliere gli oggetti ributtati dal mare sulla terraferma,
comprende che questo gesto rappresenta per lui una di stretta di mano
con l'ignoto, con l'altro che non conosce.
Le
cose che recupera le considera un regalo, che misteriosamente Dio gli
fa trovare davanti ai suoi passi. Sono proprio queste cose a compiere
il miracolo: da quel momento sente che hanno frantumato le barriere
artificiali dei confini di stato, di religione, di lingua o cultura.
E dal quel momento la sua vita si apre.
Se
visitate il suo villaggio vi mostra le sue collezioni di bottiglie.
Ci sono quelle enormi, che usano i clandestini quando si imbarcano
sui gommoni verso la Sicilia. Non solo bottiglie, Mohsen trova molte
cose appartenenti a questi uomini e donne annegate. Ha raccolto tutto
ciò che appartiene a loro, ha provato ad espriemere così il massimo
rispetto per queste vittime del nuovo ordine mondiale.
Ne
ha fatto una installazione speciale, posta al centro del cortile di
casa, dedicata a Mamadou. Dentro al muro delle bottiglie di plastica
colorate, c'è una montagna di scarpe. Sono le scape dei naufraghi,
annegati nel Mare Nostrum. Il Museo di Mohsen è un sacrario.
Custodisce con cura, dopo averli raccolti e lavati, centinaia di
pantaloni, magliette, giacconi e camicie... che il mare ha provveduto
a restituire alle rive africane pietosamente svestendo i corpi senza
vita dei migranti.
Mohsen
ha ritrovato non solo degli indumenti, ma anche dei cadaveri. La
prima volta nell’agosto del 2002. Gabriele
Del Grande, un reporter sociale che ha scritto un bel libro sulle
rotte di migrazione africane verso l'Europa “Mamadou va a morire”
(ed. Infinito) ha raccolto la testimonianza di Mohsen. Eccola:
«Da
qualche giorno si diceva in giro del ritrovamento di parecchi
cadaveri sulle spiagge di Zarzis. La gente mi chiedeva se avessi
trovato la mia parte di naufraghi, scherzando. Ma io non scherzavo
affatto. Ogni volta che entravo in acqua sentivo l’angoscia salire
allo stomaco. Avanzavo con cautela, ero scalzo, avevo paura di
toccare uno dei cadaveri sottacqua. Il mare mi aveva consegnato prima
l’immondizia del nord, giunta dal Canale di Sicilia. Poi i messaggi
in bottiglia che parlavano della crisi dell’uomo moderno e
finalmente le onde mi portavano la prima vittima in carne e ossa
della corsa verso l’Occidente. L’avevo visto da lontano.
All’inizio sembrava una tartaruga rivolta sul guscio. Quando mi
sono accorto che era un essere umano mi sono sentito mancare. Il
battito del cuore mi assordava. Era là bocconi, coperto dalle alghe
fino al ginocchio e sopra la testa. Taglia media, quel corpo
muscoloso in vita era stato consumato dal sole e dalle onde, la pelle
beige. Con le lacrime agli occhi ho recitato il Corano e ho pregato
Mosé, Cristo e tutti gli dei perché dessero la pace all’anima di
Mamadou. Poi ho gridato con tutte le corde della rabbia la mia
collera. Non ho voluto fare foto al mio amico, perché il suo corpo,
il suo spirito e la sua bellezza appartengono soltanto a dio».
Mohsen chiama la polizia, che
raccogliere il cadavere per la sepoltura. La sera a casa ordina alla
moglie una buona cena per tutta la famiglia. «A casa ne ho
parlato solo qualche giorno dopo, ma quella sera volevo festeggiare,
perché Mamadou non dormiva più al freddo».
Ma c'è un altro argomento che sta molto a cuore a Mohsen: quello dei messaggi in bottiglia. Ne ha raccolte 54 di bottiglie con messaggi. Ce ne sono di vari tipi. Alcune chiedono aiuto, quindi lanciano un SOS con scritto: “La nostra nave sta affondando, abbiamo problemi, aiutateci!”
Ci
sono altre bottiglie in cui si chiede aiuto a Dio, anche per avere
una buona pesca. Alcuni mandano messaggi d'amore.
Mohsen raccoglie il messaggio di una ragazza italiana, che dichiara la sua profonda delusione per la vita e il proposito di volersi uccidere. E con grande semplicità, le scrive una lettera per rincuorarla e invitarla a venire da lui ad aiutarlo a ripulire la spiaggia. E il miracolo si compie: ancora oggi mantengono un buon rapporto.
Così
Mohsen decide di di non limitarsi a ricevere i messaggi, ma anche ad
inviarli. Ad oggi sono più di 80 le bottoglie che ha messo in acqua
per chiedere rispetto per la natura e per gli uomini. Ha ricevuto
molte risposte ed ha stabilito anche tanti contatti, a volte
tramutati in amicizia.
Tutte
le “cose” che questo uomo semplice ha trovato, sono un
collegamento, una stretta di mano che ognuno di noi può fare con
l'altro. Il messagio che la sua scelta di vita ci manda è netto:
siamo tutti fratelli perchè vicini l'uno con l'altro. E tutti siamo
chiamati a rispondere della vita e della sorte del nostro vicino.
Perchè in questo mare, che sta in mezzo alle terre, non si
possono alzare muri o barriere ed ignorare quello che accade sulla
sponda opposta alla tua.
Il
postino di Zarsis ha trasformato l'azione delle correnti marine nella
“memoria” del mare e degli uomini. E allora ci invita, con il suo
inguaribile ottimismo, a non perdere l'opportunità che la vita offre
ad ogni persona: incontrare l'altro.
Sea Memories Collections
http://www.eng.fsu.edu/~abichou/Ocean/
Mohsen L. da: Sea Memories Collections |
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