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UN BRICIOLO DI AUTENTICA FELICITÀ
Le Emozioni a cosa servono se spesso ci portano
più guai che felicità?
Mi rendo conto che è una domanda impegnativa.
Proverò ad affrontarla un po' alla volta.
Quando i grandi neurologi del secolo scorso
“mapparono” il cervello alla ricerca delle varie facoltà
mentali, individuarono le sedi di alcune importanti funzioni come per
esempio l'area del linguaggio espressivo, quella sensoriale, o quella
del movimento volontario. Ma per le “emozioni” rimasero a bocca
asciutta. Troppo complesse per riuscire a scovarle.
Oggi, la ricerca ha fatto passi da giganti, eppure
la domanda che spontaneamente ci poniamo è: dove nascono le
emozioni, dal nostro corpo o dalla nostra mente? Come se gli impulsi
che percepiamo fisicamente in noi quando proviamo paura o rabbia,
tristezza, sorpresa o gioia, si contrapponessero al pensiero
intelligente, alla ragione.
Per questo motivo ancora oggi se
dovessimo interrogare un poeta o un romanziere, quasi certamente ci
direbbero che le emozioni nascono dal cuore, inteso non come organo
che pompa sangue nell'apparato circolatorio, ma come espressione
figurata da dove prorompono le sensazioni più forti che si traducono
nei principali sentimenti. Diversamente, se interpellassimo un medico
o uno scienziato, ci direbbero che le emozioni nascono dal cervello.
Ma non è così. Daniel Goleman (1995, 2000, 2003)
ha descritto nel dettaglio in cosa consiste quella strana e complessa
facoltà che ha chiamato intelligenza emotiva. Ed ha sostenuto
l'importanza che questa facoltà vada coltivata con passione, per
valorizzare al massimo la dotazione genetica del nostro personale
Q.I. (quoziente intellettivo).
Va bene, non è difficile partire dalla esperienza
fisica per capire cosa succede quando ci arrabbiamo, o quando siamo
tristi ed ansiosi; o, al contrario quando ridiamo a crepapelle! La
difficoltà è capire come viene codificata nella nostra mente
questa esperienza fisica.
Gli scienziati ci dicono che, in questo complesso
processo che accompagna, caratterizza e condiziona la nostra vita,
entrano in gioco due strutture cerebrali: l'Amigdala (è una piccola
ghiandola posta nel cervello e si chiama così perchè ha la forma di
una mandorla) ed il sistema Limbico, che può
essere considerato il cervello emozionale.
Possiamo finalmente dirlo: sì, esiste una
sede per la memoria emotiva. Allora è fatta! Diremmo noi, finalmente
sappiamo dove attingere le risorse per affrontare nel migliore dei
modi le sfide quotidiane che la vita ci pone senza sconti.
Ma attenzione, questa
riserva non è il paradiso perduto dell'Eden. Perchè di solito
contiene sia esperienze positive, che negative o sfavorevoli. Quando
poi racchiude esperienze di grande dolore, spesso di origine
traumatico, connotate di impulsi violenti, questi tenderanno a
replicarsi nel corso di tutta la nostra esistenza, ed è chiaro che
vanno affrontati con una terapia Psicologica.
Ma noi, persone normali
mediamente sane, possiamo utilizzare al meglio la nostra intelligenza
emotiva?
Sì possiamo fare molto
ed ottenere anche dei guadagni consistenti. Ma ad una condizione: che non
consideriamo la memoria emotiva come una specie di magazzino da cui
prelevare le risorse che ci servono, come se questa riserva fosse infinita... al contrario la memoria emotiva va considerata
come un laboratorio dove realizzare esperienze di un solido
scambio reciproco.
Una memoria-laboratorio
dove imparare a regolare i nostri rapporti personali e sociali
secondo un'ottica di cooperazione, di attenzione verso l'altro e di
accresciuta disponibilità ad incontrarlo.
Solo così la memoria
emotiva ci permetterà di stabilire quei legami di base senza i quali
non c'è possibilità per l'uomo di essere tale e di trovare un
briciolo di autentica felicità.
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