giovedì 7 novembre 2013

MULTITASKING


Lavorare, giocare e stringere rapporti... con un occhio allo smartphone.

 

da. "Diventare _ grandi.jpg"


Nel suo nuovo libro intitolato “Focus” (ed. Rizzoli) Daniel Goleman tratta uno dei processi psicologici più complessi da definire oggi: l'attenzione.
I giorni nostri, infatti, sono caratterizzati dal “fare veloce”. A volte compulsivo e, sempre più spesso, dal fare più cose contemporaneamente. E' la società del “multitasking” che fa presa nelle nuove generazioni, indossata come una divisa che, una volta infilata, è difficile rinunciarvi.
Quale relazione corre tra questo strafare e l'attenzione necessaria perchè si realizzi? Come funziona l'attenzione? Ce n'è una sola o si declina in tipologie diverse? E' una risorsa o un un pesante fardello da sopportare?

L'autore, professore ad Harvard e collaboratore scientifico del «New York Times», è conosciuto dal grande pubblico internazionale per il suo famoso libro “L'intelligenza emotiva” che ebbe un grande successo editoriale negli anni '90. In questo nuovo lavoro scompone ed analizza l'attenzione e ne mette in evidenza i diversi livelli di funzionamento. Lo fa con grande maestrìa e con la chiarezza tipica dell'insegnante americano, che ne permette una divulgazione su larga scala, anche per un pubblico non specialistico.
E' evidente a tutti che, dell'attenzione, non possiamo proprio farne a meno. E' una risorsa cognitiva che entra in gioco in numerose operazioni mentali: per apprendere concetti nuovi, per memorizzare e, infine, per decodificare lo stato emotivo del nostro interlocutore.
Goleman definisce questa facoltà il modo col quale orientiamo la nostra consapevolezza su ciò che ci circonda. E mette in evidenza tre tipologie di attenzione, sulle quali cercherò di soffermarmi proponendo alcune riflessioni personali.




Il primo modello di attenzione, è quello che ci permette di fare una selezione accurata tra gli innumerevoli stimoli che ci bombardano, per sceglierne alcuni e scartare tutti gli altri.
Per comprendere come funziona è utile ricorrere all'immagine di un “filtro” che trattiene nelle sue maglie solo alcune cose lasciando scorrer via il resto. Viene chiamata “capacità di concentrazione” perchè, come una lente di ingrandimento, mette a fuoco l'elemento centrato, sfumando e deformando i bordi che divengono illeggibili.
E' il requisito di base indispensabile per essere efficaci nelle azioni quotidiane e nella nostra professione, in quanto presente in qualsiasi processo di apprendimento. Ma c'è un pedaggio salato da pagare a questo processo mentale: essere concentrati richiede un grande sforzo attivo, con un grande dispendio di energia. Infatti quando uno stimolo nuovo viene rilevato dall'apparato sensoriale, questo dato si trasforma in un fattore di distrazione che ci costringe a scegliere se esaminarlo, oppure tenerlo ai margini del processamento.
Il secondo tipo di attenzione che Goleman individua la chiama “consapevolezza aperta”.
Ed è quell'esperienza che tutti noi possiamo fare quando lasciamo campo libero ai nostri sensi immergendoci in modo pieno nel “qui ed ora” per godere di ciò che avviene attorno a noi. In genere sperimentiamo questo tipo di attenzione quando spalanchiamo i nostri sensi nel contatto diretto con la natura che ci circonda. Come, per esempio, quando ci immergiamo nel rumore della risacca delle onde su una spiaggia; o nella visione del panorama che si gode dalla cima di una montagna; o quando ci lasciamo penetrare dalla vibrazione sonora di uno strumento musicale durante un concerto... e via dicendo.

 
da: "images.jpg"



L'ultima modalità di attenzione si concretizza quando lasciamo libera la nostra mente di “vagare dentro i nostri pensieri” e le nostre fantasie. Capita a volte di avere la sensazione di perderci dentro i meandri del pensiero; ma capita anche, in questo stato particolare della mente, di far convivere in modo nuovo degli elementi che fino a poco prima erano inconciliabili tra loro... è in questo modo che diventiamo creativi!

Si potrebbe obiettare a Goleman che, di tempo libero per poter lasciare aperti i nostri sensi sul creato e goderne beatamente ne abbiamo veramente poco. In tempo di crisi economica e sociale siamo sempre più obbligati a fare salti mortali per poter mantenere un lavoro ed una vita dignitosa. L'orario d'ufficio dalle 9 alle 17 e la settimana corta, sono reperti del secolo passato. Quando poi ne abbiamo troppo di tempo libero, è perchè siamo disoccupati; e quindi imbottiti di preoccupazioni, presi da pensieri deprimenti per lo stato di penuria e per le difficoltà nelle quali ci dibattiamo con foga per uscirne.


da: "Shutterstock.jpg"

Che fare? Goleman ci ricorda che in realtà noi possiamo ritrovare nelle pieghe della nostra vita così affacendata alcuni “tempi morti” ed è lì che possiamo lasciar correre in libertà il nostro pensiero. Per esempio quando ritorniamo in metrò verso casa, o durante la doccia, oppure quando portiamo i bambini nel parco giochi; quando ci prepariamo un panino imbottito o rassettiamo la casa con gesti automatici che non richiedono più alcuna programmazione, né sforzo di concentrazione. E’ vero che oggi abbiamo una agenda occupata da mattina a sera, ma quello che dovremo recuperare non è quel tempo libero che non c'è più, quanto “i momenti tra i momenti”. Infatti è in questo luogo che nascono le idee.

La seconda domanda da porre a Goleman riguarda il concetto di attenzione come attività selettiva, che dovrebbe occupare interamente la nostra operatività assumendo un compito alla volta. Come la mettiamo con la necessità sociale che ci impone spesso di lavorare su più compiti contemporaneamente? La modalità di operare su più livelli, cosidetta “multitasking”, può funzionare come filtro selettivo?
Secondo Goleman no. Infatti non è vero che la nostra mente è in grado di essere attenta su più cose contemporaneamente, piuttosto siamo costretti a passare molto velocemente da una cosa all’altra. Come fa la CPU del computer quando passa dal compito A al compito B, e poi al compito C secondo un algoritmo ripetitivo che non sgarra mai di una virgola!
Va da sé che noi esseri umani siamo macchine ben più complesse e flessibili di un robot/computer e che per certe funzioni cognitive essere multitasking diventa un vero handicap. Se per esempio non riusciamo più a leggere una pagina o a scrivere un testo perché siamo continuamente interrotti da altri stimoli, il processo attentivo ne risente e, alla lunga, la persona manifesta difficoltà di letto-scrittura. Cosa che si sta verificando in modo sistematico nelle nuove generazioni di studenti sia nella scuola primaria che secondaria e che merita di essere esaminato con molta cura.

 
da: "topic",  modificata



Ma il fatto più sconvolgente è quando osserviamo lo stesso fenomeno agire nei contatti sociali. Qui l'interazione tra due persone viene continuamente interrotta da una moltitudine di segnali contestuali distraenti: sms, squilli del cellulare, email. In questo caso il danno è ancora maggiore poiché si perde tutta quella parte della comunicazione non verbale, dalla mimica del volto ai gesti e alla postura, che integrano ciò che ci viene comunicato con le parole.
Goleman ci ricorda che il nostro è un cervello sociale, capace di interpretare i segnali non verbali; che questo cervello si sviluppa a partire dalla prima infanzia fino a circa 25 anni. Più questo cervello viene usato nella sua completezza, più saremo capaci di collegarci con chi ci sta di fronte, e stabilire un rapporto profondo con lui. Questa è la buona notizia.

La cattiva è la seguente. Se il flusso attentivo è continuamente interrotto da stimoli estranei, il nostro cervello disimpara a decodificare i segnali non verbali, come in una specie di analfabetismo di ritorno, mettendo a rischio il bene più importante che l'uomo possiede: la capacità di stabilire dei contatti coi suoi simili dotati sia di razionalità che di emotività e di consolidarli per farne dei legami affettivi.