Lavorare, giocare e stringere rapporti... con un occhio allo smartphone.
da. "Diventare _ grandi.jpg" |
Nel suo
nuovo libro intitolato “Focus” (ed. Rizzoli) Daniel Goleman
tratta uno dei processi psicologici più complessi da definire oggi:
l'attenzione.
I giorni
nostri, infatti, sono caratterizzati dal “fare veloce”. A volte
compulsivo e, sempre più spesso, dal fare più cose
contemporaneamente. E' la società del “multitasking” che fa
presa nelle nuove generazioni, indossata come una divisa che,
una volta infilata, è difficile rinunciarvi.
Quale
relazione corre tra questo strafare e l'attenzione necessaria perchè
si realizzi? Come funziona l'attenzione? Ce n'è una sola o si
declina in tipologie diverse? E' una risorsa o un un pesante fardello
da sopportare?
L'autore,
professore ad Harvard e collaboratore scientifico del «New York
Times», è conosciuto dal grande pubblico internazionale per il suo
famoso libro “L'intelligenza emotiva” che ebbe un grande successo
editoriale negli anni '90. In questo nuovo lavoro scompone ed
analizza l'attenzione e ne mette in evidenza i diversi livelli di
funzionamento. Lo fa con grande maestrìa e con la chiarezza tipica
dell'insegnante americano, che ne permette una divulgazione su larga
scala, anche per un pubblico non specialistico.
E' evidente
a tutti che, dell'attenzione, non possiamo proprio farne a meno. E'
una risorsa cognitiva che entra in gioco in numerose operazioni
mentali: per apprendere concetti nuovi, per memorizzare e, infine,
per decodificare lo stato emotivo del nostro interlocutore.
Goleman
definisce questa facoltà il modo col quale orientiamo la
nostra consapevolezza su ciò che ci circonda. E mette in
evidenza tre tipologie di attenzione, sulle quali cercherò di
soffermarmi proponendo alcune riflessioni personali.
Il primo modello di attenzione, è quello che ci permette di fare una selezione accurata tra gli innumerevoli stimoli che ci bombardano, per sceglierne alcuni e scartare tutti gli altri.
Per
comprendere come funziona è utile ricorrere all'immagine di un
“filtro” che trattiene nelle sue maglie solo alcune cose
lasciando scorrer via il resto. Viene chiamata “capacità di
concentrazione” perchè, come una lente di ingrandimento, mette
a fuoco l'elemento centrato, sfumando e deformando i bordi che
divengono illeggibili.
E' il
requisito di base indispensabile per essere efficaci nelle azioni
quotidiane e nella nostra professione, in quanto presente in
qualsiasi processo di apprendimento. Ma c'è un pedaggio salato da
pagare a questo processo mentale: essere concentrati richiede un
grande sforzo attivo, con un grande dispendio di energia. Infatti
quando uno stimolo nuovo viene rilevato dall'apparato sensoriale,
questo dato si trasforma in un fattore di distrazione che ci
costringe a scegliere se esaminarlo, oppure tenerlo ai margini del
processamento.
Il secondo
tipo di attenzione che Goleman individua la chiama “consapevolezza
aperta”.
Ed è
quell'esperienza che tutti noi possiamo fare quando lasciamo campo
libero ai nostri sensi immergendoci in modo pieno nel “qui ed ora”
per godere di ciò che avviene attorno a noi. In genere sperimentiamo
questo tipo di attenzione quando spalanchiamo i nostri sensi nel
contatto diretto con la natura che ci circonda. Come, per esempio,
quando ci immergiamo nel rumore della risacca delle onde su una
spiaggia; o nella visione del panorama che si gode dalla cima di una
montagna; o quando ci lasciamo penetrare dalla vibrazione sonora di
uno strumento musicale durante un concerto... e via dicendo.
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L'ultima modalità di attenzione si concretizza quando lasciamo libera la nostra mente di “vagare dentro i nostri pensieri” e le nostre fantasie. Capita a volte di avere la sensazione di perderci dentro i meandri del pensiero; ma capita anche, in questo stato particolare della mente, di far convivere in modo nuovo degli elementi che fino a poco prima erano inconciliabili tra loro... è in questo modo che diventiamo creativi!
Si potrebbe
obiettare a Goleman che, di tempo libero per poter lasciare aperti i
nostri sensi sul creato e goderne beatamente ne abbiamo veramente
poco. In tempo di crisi economica e sociale siamo sempre più
obbligati a fare salti mortali per poter mantenere un lavoro ed una
vita dignitosa. L'orario d'ufficio dalle 9 alle 17 e la settimana
corta, sono reperti del secolo passato. Quando poi ne abbiamo troppo
di tempo libero, è perchè siamo disoccupati; e quindi imbottiti di
preoccupazioni, presi da pensieri deprimenti per lo stato di penuria
e per le difficoltà nelle quali ci dibattiamo con foga per uscirne.
da: "Shutterstock.jpg" |
Che fare?
Goleman ci ricorda che in realtà noi possiamo ritrovare nelle pieghe
della nostra vita così affacendata alcuni “tempi morti”
ed è lì che possiamo lasciar correre in libertà il nostro
pensiero. Per esempio quando ritorniamo in metrò verso casa, o
durante la doccia, oppure quando portiamo i bambini nel parco giochi;
quando ci prepariamo un panino imbottito o rassettiamo la casa con
gesti automatici che non richiedono più alcuna programmazione, né
sforzo di concentrazione. E’ vero che oggi abbiamo una agenda
occupata da mattina a sera, ma quello che dovremo recuperare non è
quel tempo libero che non c'è più, quanto “i momenti tra i
momenti”. Infatti è in questo luogo che nascono le idee.
La seconda
domanda da porre a Goleman riguarda il concetto di attenzione come
attività selettiva, che dovrebbe occupare interamente la nostra
operatività assumendo un compito alla volta. Come la mettiamo con la
necessità sociale che ci impone spesso di lavorare su più compiti
contemporaneamente? La modalità di operare su più livelli,
cosidetta “multitasking”, può funzionare come filtro selettivo?
Secondo
Goleman no. Infatti non è vero che la nostra mente è in grado di
essere attenta su più cose contemporaneamente, piuttosto siamo
costretti a passare molto velocemente da una cosa all’altra. Come
fa la CPU del computer quando passa dal compito A al compito B, e poi
al compito C secondo un algoritmo ripetitivo che non sgarra mai di
una virgola!
Va
da sé che noi esseri umani siamo macchine ben più complesse e
flessibili di un robot/computer e che per certe funzioni cognitive
essere multitasking diventa un vero handicap. Se per esempio non
riusciamo più a leggere una pagina o a scrivere un testo perché
siamo continuamente interrotti da altri stimoli, il processo
attentivo ne risente e, alla lunga, la persona manifesta difficoltà
di letto-scrittura. Cosa che si sta verificando in modo sistematico
nelle nuove generazioni di studenti sia nella scuola primaria che
secondaria e che merita di essere esaminato con molta cura.
da: "topic", modificata |
Ma il fatto più sconvolgente è quando osserviamo lo stesso fenomeno agire nei contatti sociali. Qui l'interazione tra due persone viene continuamente interrotta da una moltitudine di segnali contestuali distraenti: sms, squilli del cellulare, email. In questo caso il danno è ancora maggiore poiché si perde tutta quella parte della comunicazione non verbale, dalla mimica del volto ai gesti e alla postura, che integrano ciò che ci viene comunicato con le parole.
Goleman ci
ricorda che il nostro è un cervello sociale, capace di interpretare
i segnali non verbali; che questo cervello si sviluppa a partire
dalla prima infanzia fino a circa 25 anni. Più questo cervello viene
usato nella sua completezza, più saremo capaci di collegarci con chi
ci sta di fronte, e stabilire un rapporto profondo con lui. Questa è
la buona notizia.
La cattiva è
la seguente. Se il flusso attentivo è continuamente interrotto da
stimoli estranei, il nostro cervello disimpara a decodificare
i segnali non verbali, come in una specie di analfabetismo di
ritorno, mettendo a rischio il bene più importante che l'uomo
possiede: la capacità di stabilire dei contatti coi suoi simili
dotati sia di razionalità che di emotività e di consolidarli per
farne dei legami affettivi.
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